Di seguito un commento di Nicola Flamigni sulla direttiva europea sulle sanzioni applicate ai datori di lavoro che assumono gli immigrati irregolari (Direttiva del 19 febbraio 2009 passata nel Parlamento Europeo):
“Una politica europea sull’ immigrazione regolare non può esistere senza una credibile politica europea sull’immigrazione irregolare. A partire da questo presupposto si sta costruendo la politica comune d’immigrazione. È vero, in un’Europa a ventisette è più facile creare consenso su misure repressive che su misure atte a favorire l’immigrazione legale (soprattutto se il tipo di processo decisionale è nettamente a sfavore di quest’ultima materia, sulla quale si delibera ancora all’unanimità e non a maggioranza qualificata. La ratifica del Trattato di Lisbona potrebbe cambiare le cose). Ma questo motivo non basta per giustificare un approccio inadeguato a comprendere il complesso fenomeno dell’immigrazione. Dare priorità alla lotta contro l’immigrazione illegale senza avere aperto sufficienti canali legali all’immigrazione economica è un danno economico e sociale, e un’ipocrisia se si predica un needs based approach e poi si approva un piano d’azione sull’immigrazione legale (COM(2005)669) che lascia fuori dallo scopo ampie categorie di lavoratori immigrati di media e bassa qualificazione necessari al mercato interno. In nome del tanto sbandierato approccio globale, e del principio della comprensività, occorrerebbe quindi ribaltare l’assunto: una politica europea sull’immigrazione irregolare non può esistere senza una credibile politica europea sull’immigrazione regolare. La priorità andrebbe attribuita a quest’ultima.
La proposta di direttiva sulle sanzioni ai datori di lavoro che reclutano immigrati irregolari, passata al Parlamento europeo lo scorso 19 febbraio, è un altro segno nella direzione opposta. Come la direttiva sul ritorno è una misura legittima (il diritto di uno Stato di espellere uno straniero è un attributo inerente al principio di sovranità, se vincolato al rispetto dei diritti umani è incontestabile quanto il diritto di combattere l’economia sommersa), ma sbagliata nella misura in cui non può essere efficace contro un fenomeno che non può essere represso.
L’obiettivo dichiarato della direttiva è quello di ridurre l’immigrazione irregolare. L’idea è quella di diminuire le possibilità d’impiego così da eliminare un importante fattore d’ attrazione per gli immigrati irregolari. In realtà, l’effetto di queste sanzioni sul numero dei migranti irregolari è dubbio. La stessa valutazione d’impatto, sulla quale si basa la proposta, sottolinea che nella maggioranza dei paesi dove sono già in vigore sistemi di sanzioni il numero degli irregolari che trovano lavoro continua a essere considerevole.
Un secondo intento sarebbe quello di contrastare lo sfruttamento dei lavoratori irregolari. Anche questo però è contraddetto, ancor più chiaramente, dalla valutazione d’impatto. I datori di lavoro reclutano lavoratori irregolari perché sono vulnerabili, per la paura che hanno di essere espulsi e quindi flessibili. Se le autorità aumentano i controlli sul mercato del lavoro, questi lavoratori cercheranno di aumentare la loro “invisibilità”, e così facendo cadranno ancora di più in balia dei loro sfruttatori. Del resto, questi ultimi, per ridurre i rischi di essere sanzionati, faranno ricorso a diversi stratagemmi: dall’uso dei subappalti all’obbligo imposto ai lavoratori di procurarsi documenti falsi. Le sanzioni rischierebbero quindi di aumentare il tasso di sfruttamento invece che diminuirlo.
La proposta di direttiva contiene anche alcune disposizioni relative ai diritti dei lavoratori irregolari: il rimborso automatico dei compensi non ricevuti a causa dello sfruttamento sulla base della comparazione con lo stipendio minimo, la possibilità di sporgere denuncia, la possibilità per le parti terze di difendere i diritti dei lavoratori e la possibilità di garantire un permesso di residenza temporanea nel caso di sfruttamenti particolarmente severi. Tali misure di salvaguardia è necessario che rimangano nel testo finale. Ma queste non limiteranno i danni, se non in maniera irrilevante. La direttiva mira a combattere l’immigrazione irregolare facendo leva sul permesso di residenza e ciò rappresenta per i migranti irregolari una più che buona ragione per stare lontano il più possibile dalle autorità. Non c’è modo di pensare che questa li incoraggi a prendere provvedimenti per far valere i loro diritti di lavoratori. Inoltre, richiedendo ai datori di lavoro di controllare il permesso di soggiorno di tutti i cittadini di paesi terzi, incluso quelli che risiedono regolarmente, si rischia di aumentare ancora di più il tasso di discriminazione razziale e nazionale, intenzionale o involontaria. Infine sorgono dei dubbi sulle modalità d’implementazione della direttiva. Gli Stati membri con i più alti tassi di immigrazione irregolare sono anche quelli dove i sistemi di ispezione contro il lavoro nero non sono sufficientemente finanziati. Dare priorità alla lotta all’assunzione di manodopera irregolare, come inteso nella direttiva, rischierebbe di sottrarre risorse ai controlli più generali sulle frodi fiscali e i diritti sul lavoro.
In linea con queste critiche, la direttiva sanzioni sembra più destinata a gravare più sui lavoratori irregolari, che dovranno fare i conti con un inasprimento dello sfruttamento, che sui datori di lavoro, in teoria i diretti interessati. Restano comunque diverse perplessità anche sulla effettiva efficacia delle direttiva, che fissa solo “standard minimi”. Come sempre, gran parte della critica andrà riservata ai modi di implementazione dei singoli Stati membri.” (fonte sito Melting Pot – Cittadinanze)